"
"Durante
la
cerimonia
delle
cresime
a
San
Lorenzo
fuori
le
Mura
pregammo
per
la
sua
salute...
e
lui
ringraziò
con
un
gesto
che
era
di
speranza
di
guarire
e,
allo
stesso
tempo,
di
affidamento".
Il
cardinale
Bergoglio ricorda Giacomo Tantardini, sacerdote.
"Ricordatevi
dei
vostri
capi,
i
quali
vi
hanno
annunciato
la
parola
di
Dio;
considerando
attentamente
l'esito
finale
della
loro
vita,
imitatene
la
fede"
(Eb
13,
7).
Così,
l'autore
della
Lettera
agli
Ebrei
ci
esorta
a
tener
presenti
quelli
che
ci
hanno
annunciato
il
Vangelo
e
che
già
sono
partiti.
Ci
chiede
di
ricordarli,
ma
non
in
quel
modo
formale
e,
a
volte,
commiserevole,
che
ci
fa
dire
"quanto
era
buono!",
una
frase
che
si
sente
spesso
nel
peristilio
dei
cimiteri.
Quel
tipo
di
memoria
è
un
semplice
ricordo
di
formalità
sociale.
Ci
chiede,
invece,
di
ricordarli
a
partire
dalla
fecondità
della
loro
semina
in
mezzo
a
noi.
Ci
chiede
di
ricordarli
con
la
memoria
del
cuore,
quella
memoria
deuteronomica
che
costruisce
sulla
roccia,
che
plasma
vite
e
marchia
cuori.
Sì,
il
nostro
cuore
si
edifica
sulla
memoria
di
quegli
uomini
e
quelle
donne
che
ci
hanno
fatto
avvicinare
a
sorgenti
di
vita
e
di
speranza
a
cui
potranno
attingere
anche
quelli
che
ci
seguiranno.
È
la
memoria
dell'eredità ricevuta che dobbiamo, a nostra volta, trasmettere ai nostri figli.
Così,
con
questa
memoria,
ricordiamo
don
Giacomo
e
ci
chiediamo:
che
cosa
ci
ha
lasciato?
Quali
impronte
di
lui
troviamo
sul
cammino
della
nostra
vita?
Oso
semplicemente
dire
che
ha
lasciato
le
impronte
di
un
uomo-bambino
che
non
ha
mai
finito
di
stupirsi.
Don
Giacomo,
l'uomo
dello
stupore;
l'uomo
che
si
è
lasciato
stupire da Dio e ha saputo dischiudere il cammino affinché questo stupore nascesse negli altri.
Don
Giacomo,
un
uomo
sorpreso
che,
mentre
guardava
il
Signore
che
lo
chiamava,
continuamente
si
chiedeva,
quasi
non
riuscisse
a
crederci,
come
il
Matteo
del
Caravaggio:
io,
Signore?
Un
uomo
stupito
di
fronte
a
questa
indescrivibile
"sovrabbondanza"
della
grazia
che
vince
sull'abbondanza
meschina
del
peccato,
di
quel
peccato
che
ci
sminuisce,
sempre;
un
uomo
stupito
che
si
è
sentito
cercato,
atteso
e
amato
dal
Signore
molto
prima
che
fosse
lui
a
cercarlo,
ad
attenderlo
e
ad
amarlo;
un
uomo
stupito
che,
come
quelli
del lago di Tiberiade, non osava chiedergli chi fosse perché sapeva bene che era il Signore.
E
quest'uomo
stupito
si
è
lasciato,
più
di
una
volta,
interrogare:
"Mi
ami?",
per
rispondere
con
la
semplicità
ardente
dell'amore:
"Signore,
tu
lo
sai
che
ti
amo".
Ed
era
così
perché
quest'uomo-bambino
nutriva
il
suo
amore
con
la
semplice
ma
sapienziale
prontezza
della
contemplazione
di
tutta
quella
Grazia
che
lo
superava.
Don
Giacomo
era
così.
Non
aveva
perduto
la
capacità
di
sorprendersi;
rifletteva
a
partire
da
quello
stupore
che
riceveva
e
alimentava
nella
preghiera.
A
volte,
dava
l'impressione
che
questa
sensibilità
lo
provasse,
lo
stancasse
o
lo
rendesse
irrequieto,
e
questo
non
è
raro
in
un
uomo
dal
temperamento
umano
forte,
sul
quale
la Grazia non ha cessato di lavorare nella sua conversione alla mansuetudine.
L'ultima
immagine
che
ho
di
lui
mi
commuove:
durante
la
cerimonia
delle
cresime
a
San
Lorenzo
fuori
le
Mura,
con
le
mani
giunte,
gli
occhi
aperti
e
stupiti,
sorridente
e
serio
allo
stesso
tempo.
Lì,
pregammo
per
la
sua
salute...
e
lui
ringraziò
con
un
gesto
che
era
di
speranza
di
guarire
e,
allo
stesso
tempo,
di
affidamento.
Così,
per
grazia,
si
può
perseverare
nel
cammino,
fino
alla
fine:
l'uomo-bambino
si
abbandona
fra
le
braccia
di
Gesù
mentre
chiede
che
passi
questo
calice,
e
viene
preso
e
portato
in
braccio,
con
le
mani
giunte
e
gli
occhi aperti. Lasciandosi sorprendere ancora una volta, per il dono più grande.
Ringrazio
Dio
nostro
Signore
di
averlo
conosciuto.
È
rivolto
anche
a
me
quel
"considerate
l'esito
della
sua
vita e imitatene la fede" della Lettera agli Ebrei.
Buenos Aires, 6 maggio 2012
Cardinale Bergoglio
Durante la cerimonia delle cresime a San Lorenzo fuori le Mura pregammo per la sua salute... e lui ringraziò con